#053 contagio.


le cose poi si mischiano.
prendi del blu e prendi del rosso.
perché esistono, esiste il blu ed esiste il rosso,
e per ciascuno il blu ha un significato e il rosso ne ha un altro,
e qualunque sia il significato penso che tutti abbiano del blu e del rosso.
colori distinti, a volte confinati in luoghi diversi del cuore, dell'anima.
e quello che accade dentro prende vie imprescindibili.
e a volte emerge il blu,
e a volte emerge il rosso,
versioni diverse del sentire, versioni diverse di noi stessi, del futuro, anche, forse.
e per ogni colore c'è una musica, e per ogni musica c'è un colore.
la condivisione della musica è anche condivisione del colore?
non lo so.
aspetto il contagio rosso nel blu.
aspetto la notizia.
se notizia c'è.



#052 risvegli.

non tutte le parole sono uguali. già detto.
non tutti i posti sono uguali. già scritto.
non tutti i treni portano a sud. già sentita.
non tutti i mali e non tutte le ciambelle.
e non tutte le persone cercano la stessa cosa. già.
la difficoltà starebbe non tanto nel prendere la mira, ma nel scegliere il bersaglio.
abbiamo piccoli talenti da allenare, ci sono sempre dei piccoli talenti da allenare.

stamattina ero sveglio presto, ho letto una cosa qui. un post.
ancora nel letto, nel dormiveglia tipico delle trasferte. ho aperto il portatile come fosse un libro
e l'ho appoggiato di fianco a me reclinato su di un lato per poter leggere da sdraiato, la testa ancora sul cuscino. occhi aperti, occhi chiusi. poi aperti, poi ancora chiusi.
fuori e dentro il sonno leggevo parole scritte per non essere capite da tutti, ma le capivo, le vedevo.
leggevo una frase per volta, poi chiudevo gli occhi e partiva un sogno dentro il quale io nascevo crescevo morivo ogni volta inseguendo quelle parole. come se ogni frase fosse una sentenza da interpretare, di cui cercare dentro il sogno le motivazioni.
la frase successiva mi coglieva rinato e fresco per un altro sogno, per un altro procedimento, un nuovo viaggio.
e così via, ordinatamente, tutto chiaro, tutto semplice: leggevo, capivo.
alla fine della lettura avevo vissuto molte vite tra loro diverse. tutte a cavallo tra sonno e veglia e tra queste alcune non erano andate sprecate. al termine di ciascuna ero un uomo un poco diverso, come dopo un grande film, come dopo un grande libro.
i miei pensieri sospesi ai rami e ricoperti della brina del sogno.
mentre in testa il traffico del mattino pian piano andava crescendo, con il suo carico di rumori e di corsie e di luci accese degli stop.
quando è suonata la sveglia la brina era svanita, evaporata in una nuvola rossa, in una delle molte feritoie della notte*. 
davanti a me il bagliore fioco di un video e molte parole arrampicate su di uno schermo rovesciato che all'improvviso non erano più chiare.

*De André - amico fragile.







#051 segugio.


oggi ho imparato una canzone nuova, mentre un'altra musica mi risuonava dentro, non pensavo fosse possibile.
poi ho realizzato che una scheggia di vetro può rendere rossa la pelle.
che nel viola c'è molto più blu che rosso.
oggi ho ricordato il sogno di stanotte.
ho pensato di stendere una lista: prima mettere i punti, i nomi, poi osservandoli decidere di che lista si tratta, poi ho fatto la lista ma ha un nome solo e non so decidere il titolo.
ho scoperto che i bilanci non li devi fare tu, che l'anima è un registratore, e specie di notte non dà tregua*.
che il bilancio di tutto ciò che hai fatto non può chiudersi prima che tu ci metta anche quello che farai. che non basta la verifica della liquidità d'affetti, che serve il sogno, il progetto, il futuro orientato.
che le scelte e le rinunce spesso trovano facilmente le vesti della sconfitta, ma è un'inganno, perché dietro a tutto questo c'è qualcosa, c'è e c'era da prima.

eri piccolo, e c'era qualcosa in un angolo, in fondo a tutto un gran crescere e imparare ad esistere.
una combinazione speciale di lettere e suoni e sogni e colori.
una specie di codice, un genoma speciale, un colore composto, un sapore complesso.
una parola sola, forse, stratificata.
e, dentro, chimica e magia mischiate o la saggezza muta degli antichi, non so.
una specie di un siero, un antidoto.
era qualcosa che, in un certo preciso istante, e per la sola durata di quell'istante,

ce l'ha fatta. 

ce l'aveva fatta.
l'aderenza perfetta, la corrispondenza: sogno su sogno, senso su senso, pensiero su pensiero.
tanto da colmare quel vuoto che ancora non conoscevi e, colmandolo, rivelarne l'esistenza.
eclissi di te. orgasmo del mondo.
in un giorno in cui eri troppo piccolo per morirne e troppo grande per non sentirlo.
da quel giorno altro non fai che annusare l'aria, fiutare il destino, cercando in ogni dove una parvenza, una riminiscenza, una traccia.
nel vento, nel buio di luna o di stelle, nell'aria fredda trasparente, nel peso della neve, nello spessore del vetro, nella risacca del mare, nel mischiarsi di sensi e di mani, nei fianchi desiderati, negli occhi forti, nelle parole del mondo, qui.. qui.
un uomo mannaro, un segugio nel bosco.

[*Ivano fossati - la vita segreta]

#050 un colore.

le mani che sognavano di toccare altre mani
gli occhi che sognavano di guardarla negli occhi
e la bocca di baciare labbra
e la pelle di sentirne il calore.

fu svegliato dal rumore che fanno le porte quando si chiudono.
e c'era questa musica, rimasta appesa tra le sue dita e il suo pensare a lei.
la stessa musica che poco prima sognava di suonare.
sognava poi un colore.




#049 new year's eve



non c'erano, loro, le bianche ed algide newyorkesi.
Verso sera le avevo viste salire e scendere, nelle fermate della linea 4, quelle di midtown, quelle vicino alle luci nel cuore di manhattan. le ultime erano scese a fulton.
le ho viste, tutte uguali, cappottino corto, gambe nude e tacchi importanti. e le ho viste in gruppi di due, tre, quattro, sfidare il gelo fino al primo taxi.
e poi le ho ancora viste il giorno dopo, a mezzogiorno, scendere dalle limousine con le calze smagliate e mi è piaciuto immaginare sui loro volti un'espressione vacua, anche se non c'era davvero.
ma non c'erano. c'era gente diversa, .
poi ho visto i turisti, nel pomeriggio affannarsi sulla broadway, e più tardi dietro le transenne nella diretta da timesquare, con i cappelli a led dello sponsor, resi euforici semplicemente dal fatto di esserci. al centro del centro del mondo, pare.
e quindi nemmeno loro c'erano , no. mentre il conto delle ore mancanti alla mezzanotte si faceva più corto noi si viaggiava controcorrente, verso la periferia, sotto l'east river, verso brooklyn, e pian piano sparivano, bionde e turisti.
ad ogni fermata sempre meno, fino a che su quel vagone non è rimasta che una famiglia di neri, un vecchio col bastone, ispanici, asiatici, gente che torna a casa dopo una giornata di normalissimo lavoro. tutti immersi in un tranquillo silenzio, tutti zitti per arrivare .
il   di cui parlo è prospect park, un parco vicino a grand army plaza, dove avevano chiuso metà della grande rotonda a posizionato un palco/rimorchio illuminato da neon fissi, e sopra un'allegra band multicolore.
il programma della serata questo prevedeva: band sul rimorchio e fuochi d'artificio.
e così ti ritrovi in mezzo a gente di tutti i tipi, gente sepolta sotto sciarpe e piumini non di marca che tiene il ritmo con le mani, gente che applaude quando il capo della polizia locale prende il microfono e fa i suoi auguri a tutti quanti (thank you for the good job!) o quando lo speaker snobba le grandi feste dalle mille luci: questa è Brooklyn, USA, dice.
io mi guardo attorno e mi chiedo se danno da bere. no. non si beve, per strada, qui. e men che meno alcolici. tanto meglio, faremo volentieri a meno degli ubriachi molesti.
ed è così che quella combriccola si mette a suonare in the midnight hour e tutti cantano, e tutti fremono, e senti nell'aria voglia di nuovo, e gente semplice che si stringe attorno ad un'idea orgogliosa di esserci.
poi verso mezzanotte tutti si voltano e cominciano ad incamminarsi verso l'interno del parco. un'allegra e placida comitiva di qualche centinaio di persone che si muove finché arriva la mezzanotte. e cominciano i fuochi d'artificio.
niente di che, devo dire. ne ho visti di paragonabili alle feste di paese nella bergamasca.
ma non ho mai sentito tanto stupore levarsi ad ogni botto. questa gente ne vede tante, ne ha viste tante, eppure è gente nuova. mi piace. 
finiti i botti ricomincia la band, sei elementi: avrei una storia o due da inventare per ciascuno di loro, mai viste sei persone così diverse per età, sesso, colore far qualcosa insieme in quel modo.
a un certo punto si decide di rientrare. non è ancora l'una ed è la prima volta che rientro da un capodanno senza nemmeno un grammo (millilitro?) di alcol in corpo. va benissimo così.
poi, la mattina, li ho rivisti. tutti.
il cassiere di starbucks, la commessa dello store, il magazziniere di barnes & noble, il poliziotto al semaforo. erano tutti lì. a far funzionare questa città che ha così tanto bisogno di qualcuno che le stia addosso, che ne tenga oliato e il più piccolo ingranaggio  rettificato ogni componente.
e tutti mi hanno detto buon anno nella loro lingua, che in quel giorno era anche un po' la mia.

#048 bianco e nero.


io sono così.
io arrivo dopo che sono passati tutti.
quando il mercato sta chiudendo e i netturbini sono già al lavoro, entro nei locali quando gli sgabelli sono per metà già sui tavoli.
io sono così. lo faccio apposta. forse.
perché ho scoperto che è nella forma delle macerie che si può leggere la storia.
perché ho scoperto che ogni posto qui ha dei momenti, come i locali in paese.
ha un momento in cui è nuovo e tutti arrivano e tutti ci tengono a lasciare un segno, berci una birra, esserci.
poi, dopo un po', il carrozzone passa avanti. come se le cose una volta scritte diventassero meno vere.
come se diventassero assimilate e digerite dal grande carrozzone di pensieri e parole e azzardi e schermaglie che si muove attorno ad un blog. e i colori virano e ci si avvia al bianco e nero.
per questo i miei post si stanno facendo più radi. in realtà non vorrei mai scriverne di nuovi, in realtà credo che le cose importanti di cui vorrei scrivere sono tre, forse due, forse solo una.
Per lo stesso motivo mi aggiro nei blog a me più cari come in quelli appena scoperti cercando IL POST. quello che nasconde il senso di tutto.
con il sospetto che QUEL POST molti non l'abbiano ancora scritto, ma che lo abbiano semplicemente in bozza nascosto tra mille pensieri. perché la paura è che anche il POST possa passare, condannato dal suo stesso autore dalla pubblicazione del successivo, e che la nostra verità più intima possa divenire qualcosa che passa e va.
ma invece no: non passa e non va, semplicemente diventa detta.
e questo è il posto delle cose dette da altri che raccontano cose che non vogliamo dirci da soli.

ho poi scoperto che quello che succede succede di notte, ma non me ne stupisco.